I governi non ascoltano l'allarme 

degli scienziati dell'IPCC (e il Salvimaio non fa eccezione)

di Mario Agostinelli (Associazione Energia Felice)

Non ha trovato molto spazio sui mass media la notizia della pubblicazione (l'8 ottobre scorso) della Sintesi per Decisori Politici dello Special Report on Global Warming of 1,5 °C, che costituirà il riferimento scientifico per la Conferenza delle Parti (Cop24) della Convenzione quadro dell'Onu sui Cambiamenti Climatici (Unfccc), che avrà luogo in Polonia il mese prossimo (Katowice, 2-13 dicembre 2018).

L'aumento di temperatura dovuto all'azione antropogena sarà duraturo e non uniforme sulla Terra: in effetti durerà per secoli (per la stabilità della CO2) e continuerà a causare ulteriori cambiamenti nel sistema climatico anche a lungo termine. D'altra parte, un riscaldamento superiore alla media annuale globale viene già ora sperimentato in molte regioni della terra e in diverse stagioni, in particolare nell'Artico. Il riscaldamento è generalmente più alto sui continenti che sui mari e purtroppo si registra con più intensità in regioni terrestri molto abitate e in genere assai povere.

Agli scienziati che per conto della Nazioni Unite seguono le vicende dei cambiamenti climatici, era stata chiesta un'analisi sulle reali possibilità di contenere l'innalzamento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi (rispetto ai livelli preindustriali), limitando l'aumento a 1,5 °C. Le loro conclusioni sono allarmanti. Si stima che le attività umane abbiano già causato circa +1,0 °C di riscaldamento globale. Se la temperatura continuasse ad aumentare al ritmo attuale, con un andamento che dal 2000 non è ormai più lineare, è probabile che si raggiungano +1,5 °C tra il 2030 e il 2052. L'inquietudine degli scienziati si manifesta nel monito che un aumento dagli effetti irrimediabili può essere evitato solo se le emissioni globali di CO2 iniziano a diminuire ben prima del 2030, cosa del tutto improbabile.

Lo studio compara i risultati a +2 °C con quelli auspicati di mezzo grado in meno. Ad esempio, entro il 2100 la crescita media su scala globale del livello del mare sarebbe più bassa di 10 cm. Un ritmo più lento di innalzamento del livello del mare consente maggiori opportunità di adattamento nei sistemi umani ed ecologici nelle piccole isole, nelle zone costiere basse e nei delta (Venezia e Aquileia). Le barriere coralline con un aumento di 1,5,diminuirebbero del 70-90%, mentre con 2 °C se ne perderebbe praticamente la totalità (oltre il 99%) e si registrerebbe la scomparsa di un numero elevato di ecosistemi. I rischi legati al clima per i sistemi naturali e umani diventerebbero più elevati e differenti da luogo a luogo. Con dettagli e grafici, il report dimostra che il problema del cambiamento climatico ha una relazione diretta con migrazioni e povertà, mentre suggerisce vivamente politiche di transizione rapide e di vasta portata nel sistema energetico e nell'agricoltura oltre a una particolare attenzione a città, infrastrutture (incluso trasporti ed edifici) e sistemi industriali (economia ciclica).

Le transizioni di sistema che vengono richieste sono senza precedenti in termini di scala e implicano riduzioni delle emissioni in tutti i settori, un ampio portafoglio di opzioni di mitigazione e un significativo spostamento degli investimenti su opzioni ambientali.

In Italia la situazione è di stasi totale: tutto fermo nella decarbonizzazione del sistema energetico; si vive della rendita del boom del solare del 2011 (governo Berlusconi IV) e su quella scia si sono raggiunti con cinque anni di anticipo i target europei del 2020. Ma quelli stabiliti per il 2030 al momento rimangono una chimera. Lo continuano a ricordare i rapporti trimestrali dell'Enea. Il terzo del 2018 ribadisce che per il quarto anno consecutivo, la quota di Fer sui consumi finali potrebbe perfino ridursi, continuando ad oscillare intorno al 17,5% raggiunto nel 2015. Rimaniamo inchiodati a quell'anno. Secondo le elaborazioni dell'osservatorio Fer (su dati Terna) la nuova potenza eolica, fotovoltaica e idroelettrica connessa nei primi sei mesi del 2018 è stata pari a 334 MW, una variazione inferiore del 39% rispetto ai 551 MW installati nella prima metà del 2017.

Quello che si registra di nuovo è solo l'ok al gasdotto TAP, quindi un atto perfettamente in linea con le linee pro-gas di tutti i precedenti esecutivi (in un nostro precedente post abbiamo parlato della necessità di ribaltare quella decisione nonostante le tonnellate di dichiarazioni contrarie).

Salvini aveva commentato che col nuovo gasdotto le bollette degli italiani sarebbero state meno care. In verità il prezzo del gas è aumentato di parecchio quest'anno e di conseguenza anche quello dell'elettricità perché "a fare" il prezzo dell'elettricità è ancora il gas, essendo oggi in Italia il re della generazione. A settembre il prezzo dell'energia in borsa (il Pun) ha toccato i massimi da ottobre 2012, salendo a 76,32 €/MWh, più che doppio rispetto ad un anno fa (+57,0%.)

Il Rapporto dell'Agenzia Internazionale dell'Energia sugli investimenti energetici globali ha confermato che tutto il mondo procede a un passo che non permetterà di raggiungere gli obiettivi energetici e climatici, fissati dall'Agenda Onu 2030 e dall'Accordo di Parigi. Gli investimenti globali combinati nelle energie rinnovabili e nell'efficienza energetica sono diminuiti del 3% nel 2017, quelli nelle energie rinnovabili, che rappresentano i due terzi delle spese per la produzione di energia elettrica, sono addirittura calati del 7%.

Terribile che gli investimenti delle imprese di proprietà statale siano rimaste più legate a petrolio e gas e alla produzione di energia termica di quanto non lo siano state le imprese private. È la discesa dei costi del fotovoltaico passati dai 72$ per MWh dell'asta 2014 in Brasile ai soli 18$ dell'asta 2017 in Arabia Saudita a rendere il fotovoltaico competitivo e "amato" dalle utility: è il fatto che col vento e col sole il ritorno degli investimenti è semplicemente più rapido rispetto alle fossili.

Agire dunque per evitare il peggio, questo è il messaggio inascoltato che viene dagli scienziati dell'Unfccc. Messaggio terribile, da recepire in un mondo di irresponsabili e dilettanti al potere, inebriati dal fatto che non si raccolgono voti praticando responsabilità e visione del futuro.   

LA SCELTA SUL TAP SMASCHERA IL CONTINUISMO SOSTANZIALE DEL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO

Bloccare il TAP, il settimo gasdotto sulla Penisola oltre i sei già attivi, riguarda una questione non certo locale, ma un passaggio essenziale della strategia energetica futura del Paese. Alle argomentazioni nettamente contrarie alla decisione del governo, che con forza sono state già evidenziate in molti interventi (per tutte si vedano i documenti riportati in questi giorni dal sito www.labottegadelbarbieri.org) e che vengono da tempo articolate in numerosissime prese di posizione di comitati, associazioni e movimenti, voglio aggiungere qui tre ordini di riflessioni che espongono a verifica a tutto campo la marcia indietro dei 5Stelle.

Se si vorrà rispettare l'obiettivo dell'accordo di Parigi 2015, la maggior parte delle riserve di combustibili fossili dovranno rimanere sottoterra, incombuste. In particolare, le raccomandazioni della TCFD (la task force sulle informazioni finanziarie relative al clima, presieduta da Bloomberg, non certo un "sognatore") mirano a offrire agli investitori, ai finanziatori e agli assicuratori visibilità su come il rischio di cambiamento climatico interesserà le singole imprese e una tabella di marcia alternativa a quella delle lobbies energetiche meno previdenti. Le aziende dovrebbero allineare i loro modelli di business ad un futuro al di sotto di 2°C. Dal momento che le aziende stesse considerano tutte le loro riserve come aventi un valore finanziario, devono contare su riserve che minimizzano l'alterazione del clima e, di conseguenza, non investire denaro in una risorsa che non si può "realizzare" in quanto potenzialmente incombusta. In caso contrario il rischio sarebbe di contribuire a creare una "bolla di carbonio".

I governi dovrebbero fare ciò che hanno promesso di fare a Parigi anche solo per il buon andamento delle loro imprese e per una sana finanza globale. Gli stessi operatori del settore se ne preoccupano. In merito al futuro a medio termine del gas, Francesco Starace, amministratore delegato di Enel e presidente di Eurelectric, la federazione europea per l'elettricità, intervistato da Euractiv, ha affermato di pensare al gas solo come sostegno residuo alla transizione dei prossimi venti anni e ha aggiunto di essere addirittura perplesso sulla convenienza della costruzione di una nuova centrale a gas dato che "anche molte aziende non lo fanno". "Penso - ha riflettuto nella conversazione - che l'industria abbia perso un po' di tempo nel tentativo di resistere a ciò che è successo nella tecnologia e nel negare ciò che è accaduto nell'ambiente. Dobbiamo recuperare il tempo perso, visto che abbiamo finalmente una comprensione piena delle sfide". Non certo - dico io - importando con la Tap dall'Arzebajan ulteriori 10 miliardi di metri cubi di gas dal 2020 per poi passare a 20, sapendo che quei giacimenti nel 2023 saranno in declino e che le rinnovabili saranno sempre più economiche.

L'analisi del costo medio di nuova energia eolica e solare in 58 economie dei mercati emergenti - tra cui Cina, India e Brasile - dimostra che l'energia solare dallo scorso anno, per la prima volta, sta definitivamente e stabilmente diventando la forma più economica di elettricità nuova (v. Bloomberg, 18 dicembre, 2017). Di conseguenza, l'intera categoria di utilizzo del petrolio si sposterà dal mercato globale entro dieci anni. Si sta fuggendo dai combustibili fossili proprio come le industrie dei combustibili fossili manovrano i loro cappi alla Casa Bianca e contano sul gas come mantenimento di un sistema in crisi. Le ragioni si spiegano: non esiste una progettazione di mercato in grado di proteggere un'installazione obsoleta o una tecnologia che incomincia a non funzionare. Pertanto, oltre ai costi di una riconversione di filiera (che andranno indirizzati ad un futuro che garantisce occupazione, decarbonizzazione e riduzione " vera" delle tariffe e delle bollette) e alle eventuali penali di dismissione (tutte da vedere e in capo ad un procedimento di arbitrato internazionale dove gli interessi sociali e le motivazioni, in particolare quelle climatico-ambientali, dovrebbero confluire) bisognerà considerare che l'Europa ha fissato per il 2050 al massimo la "carbon neutrality", che comporta che ogni installazione fossile vada commisurata alla vita residua e, possibilmente, sostituita in risparmio o rinnovabili. E' allora ancora necessario e conveniente un gasdotto nuovo per soddisfare adesso equilibri geopolitici e interessi di nuovi fornitori?

Le ragioni di natura geopolitica, molto spesso, tendono a cedere il passo ad altri criteri come la posizione geografica dei fornitori, la stabilità politica e le disponibilità degli acquirenti. In Europa il problema più acuto rimane il passaggio o meno dei tubi dall'Ucraina. Politici di grande fama internazionale, a fine carriera hanno fatto da tramite per gli interessi dei due grandi contendenti del gas: Russia (esportatore) e America (ormai produttore). Brezinsky e Kissinger per le condotte dall'Azerbajan, Shröder per il gasdotto del Baltico, Blair per la Tap, hanno assunto responsabilità dirette e ben retribuite ai fini della realizzazione delle condotte fossili. In particolare, Blair, il lobbista ingaggiato dal consorzio che cura l'approdo in Puglia, ha incontrato Salvini il 4 settembre a Roma, sapendo che - a dispetto dei diversi trascorsi politici - incontrava l'interlocutore più forte del governo, che avrebbe fatto capitolare Di Maio come avvenuto. Geopolitica contro biosfera e benessere dei cittadini e al diavolo il sovranismo. Salvini, da par suo, ha dichiarato che "si tratta di spostare quattro piante". Davvero?



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